Le donne e la missione

Spunti spirituali de sr. Maria Grazia Angelini O.S.B

Congregazione Generale 8 – 13 ottobre 2023

“Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri” Lc 24,8

Corresponsabili nella missione. Per una consapevolezza del significato e contenuto, come condividere doni e compiti a servizio del Vangelo. Instrumentum Laboris, B 2.3
Come può la Chiesa del nostro tempo compiere meglio la propria missione attraverso un maggiore riconoscimento e promozione della dignità battesimale delle donne? Non è questione di promozione e riconoscimenti in senso mondano, di diritti e desideri, ma del ben-essere della Chiesa. In fedeltà all’Origine, che è Gesù, il suo stile, le sue parole, i suoi silenzi, le sue scelte.

Il Vangelo è ispirante: e, anche per questi giorni di Sinodo, anzitutto a partire dall’Eucaristia. Celebrare nella fede è il grembo generativo di ogni riforma nella chiesa. Ed ecco, la pericope di oggi (inseparabile da quella di domani), a un punto critico della comunicazione di Gesù con la folla, nel vivo del conflitto d’interpretazioni introduce, intrecciato alle parole di Gesù (“ecco, avvenne che mentre Gesù diceva questo, …”), un grido di donna. Dirompente, il grido di una donna dalla folla: ella, è toccata dalla rivelazione di Gesù e – ispirata, da ignorante -, forse con un detto popolare, proclama la “beatitudine del grembo”. In mirabile corrispondenza con la benedizione proclamata agli inizi del Vangelo da un’altra donna, anche lì in risposta al segno captato dal ventre (Lc 1,45: “Benedetto il frutto del tuo grembo…!”), “Beate le viscere…!”, dice. L’anonima della folla intuisce che in quell’uomo, il Rabbi di Nazaret che fa parlare colui che era posseduto da un demone muto, ne va della generazione – della vita di tutti. Intuisce il mistero originario della generazione che in lui si rivela. Intuisce, grida, ma non sa dire, e implicitamente invoca chi svolga la sua intuizione.

E Gesù assume l’intuito viscerale di lei, lo svolge trasformandolo e ne decodifica l’irruzione: ed è lo scioglimento del conflitto delle interpretazioni che lo stavano assediando. Svolge quello che è solo un grido, stupore interrogante: nell’umano di Gesù Dio parla, e quell’umano generato da un grembo, lo coinvolge nel suo mistero.

“Non è la carne, né il sangue” (cfr Mt 16,17; cf Lc 8,21), aveva già detto a Simone – a un altro grido della fede. Senza smentirle la donna dal popolo, la disequivoca, ne rivela la verità e così azzittisce l’insinuazione degli avversari: beatitudine è nell’ascolto, accogliente, creativo, di lui. Ascoltare, capire, dare carne alla Parola, il Verbo in principio generato.

Così, il fulmineo dialogo tra Gesù e l’anonima donna della folla è pieno di forza simbolica, ispirante. E, da lì, da questa umile voce profetica – accolta e smentita, anzi riespressa -, Gesù può riprendere il sofferto cammino verso Gerusalemme, tra sospetti insidiosi e la meraviglia dei piccoli.

Un po’ come avvenne a Cana con il grido della madre che Gesù interroga e trasforma: “Non hanno vino” (o con la samaritana, o con la cananea, o con Maria di Magdala).

Questo Vangelo, dai suoi margini luminosi, evangelizza con potenza il radunarsi interrogativo di questo Sinodo sul tema della missione e sul modo di riconoscere le diverse espressioni di ministeri. Quel grido di donna anonima, nella sua umiltà esorcizza verbalismi e proceduralismi. Fa sorgere domande feconde e schiude il cammino: “Chi ascolta la Parola e la custodisce”.

E luce, in senso convergente, mi pare venire se accostiamo questo snodo di Vangelo al racconto di quel passaggio critico della chiesa apostolica (At 16) in cui, nel disorientamento dei progetti dei missionari, attraversati dall’irruzione dello Spirito, il Vangelo entra in Europa. E si aprono fecondità inedite alla missione, grazie all’apporto umile, generativo, di donne. Sono solo comparse? No, semplicemente “prese dalla Parola”, esse aprono spazi inediti al Vangelo.

C’era appena stato il concilio di Gerusalemme (At 15), le vie del Vangelo cominciano a irradiarsi al di fuori della terra d’Israele, non senza percorsi accidentati. Subito, a seguito del primo viaggio missionario aspri dissensi intervengono tra Paolo e Barnaba, pur amici del cuore. Un controverso discernimento sulla presenza del giovane Marco porta a divaricare le loro strade (At 15,36-40). Dobbiamo immaginare un processo di faticosa intesa. La differenza – fino al conflitto – comunque necessaria e feconda nella chiesa, tuttavia si distingue dal litigioso e avvelenato contrasto perché mai demonizza l’avversario, ma gli fa spazio. Separati i percorsi, Paolo con i suoi collaboratori[1] si trovano in seguito di fronte a ostacoli imprevisti o piuttosto, come si esprime il libro degli Atti, “lo Spirito Santo vietò loro di annunziare la parola in Asia” (At 16,6). Ci ha richiamato papa Francesco nell’omelia di apertura di questa Assemblea sinodale: “Tanti itinerari missionari approdano su vicoli che appaiono ciechi, in realtà la crisi apre nuove visioni di chiesa”.

A Troade, un porto, punto di partenza per raggiungere l’Europa, Paolo ha una visione: un macedone che lo supplica dicendo: “Passa in Macedonia e aiutaci”. Il grido del pagano dirotta, converte i piani di Paolo. Non è la prima volta di questo cambio di itinerari per un Soffio dall’alto. Il sogno, la passività e l’inquietudine del sogno, della visione che spiazza, apre scenari totalmente nuovi. Dirime conflitti, apre orizzonti. Così ha inizio il secondo viaggio missionario. A partire da premesse spiazzanti.

E la chiesa sbarca in Europa, e lo fa in una forma sorprendente, nuova: a partire dai margini, dalle rive del fiume, appena fuori della ricca città romanizzata. “… donne si erano là riunite per la preghiera”. Stranamente, una liturgia fuori dal rituale, al femminile, a cielo aperto, accoglie Paolo. L’apostolo, qui non parte, come suo solito, dalla sinagoga (probabilmente a Filippi, colonia romana, nemmeno esiste). S’inserisce in una liturgia “irrituale” al femminile, irrompendovi con la parola del Vangelo.

Come all’alba di pasqua, anche a questo inizio/soglia mancano gli uomini. L’apostolo è preceduto, e accolto, dall’insolita koinonia di donne in preghiera, a cielo aperto. Qui Paolo approda, con la sua passione di Vangelo.

La corsa del Vangelo in Europa parte così. A Filippi, la missione esce da un territorio delimitato, e trova spazi inediti. Nuovi linguaggi inaugurati dalle donne, che Paolo non disdegna, anzi coglie come un kairos: annuncia loro, entra in dialogo. Lidia, umile adoratrice di Dio e mercante di porpora, diventerà la prima credente in terra d’Europa.

Lidia è identificata dal suo essere “ascoltante” la Parola – una docilità dialogica, libera e creativa: custodisce la Parola nel chiedere riconoscimento dell’apostolo offrendo ospitalità: “Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, venite”: splendida inclusività di doni che genera la chiesa. La forza di discernimento dell’apostolo, e dinanzi la semplice apertura del cuore che apre scenari nuovi per la missione.

E così Lidia offre la propria dimora agli apostoli, “forzandoli” ad accettare (16,15). Nasce, su questa soglia, la Chiesa in Europa, in un gesto che spunta come pratica della fede (“se avete giudicato che io sia credente”), e dispone lo spazio della domus (“venite e rimanete nella mia casa”).

La casa di Lidia è così ridisegnata dall’irruzione del Vangelo. Come aveva fatto e comandato Gesù: in ogni città, arrivando cercate una casa (Mt 10,11). Spazio fatto di legami più che di mura. Spazio ecclesiale fondamentale, “domus” che oggi richiede potentemente di essere riscoperto e articolato nei nuovi linguaggi, secondo la sapienza originaria.

La nascita di una chiesa in Europa, evoca la storia originaria. Richiama la novità – quanto oggi colta e compresa? -, inaugurata da Gesù con quelle donne che lo seguivano, sostenendone il ministero con le loro sostanze (è ancora Luca che narra: Lc 8,1-3): fino alla croce, fino al sepolcro aperto, e al giardino. Il terzo giorno…

Il movimento originato dal Vangelo, e anima di ogni vero cammino sinodale, genera relazioni nuove, generative. E l’apporto di donne, diversissime tra loro (la donna del popolo, l’imprenditrice di Cirene…), alimenta incessantemente il dinamismo spirituale della riforma – quando la forma diventa inadeguata al mistero che trasmette. Il Vaticano II ha inaugurato un movimento di riforma rimasto interrotto.

Ebbene, alla luce delle Origini – lo stile di Gesù -, sembra di capire che donne, sono elemento dinamico della missione, come presenza che – in passaggi critici, di rottura, spiazzanti – intuisce il movimento della vita, intesse relazioni nuove, improbabili, pazientemente porta e scioglie conflitti. Non è questione di diritti ma di doni ricevuti.

Per la missione ci sono dunque diaconie diverse. In ogni caso, una chiesa sinodale “in uscita” incontra, in principio come oggi, subito la presenza di donne, varie diverse, non omologabili – da discernere (“se avete giudicato che io..”), certo, e nella peculiarità di ciascuna da integrare. Questa è l’evidenza della Parola. Elemento iscritto nelle radici generative, come tratto costitutivo della novità evangelica, per secoli disatteso. Gesù ha innovato, ha creato uno stile, arrischiato e rivelativo, nel suo modo di rapportarsi alle donne, ma tale peculiarità ha conferma provocatoria nella temperie della realtà attuale Oggi siamo nella concreta condizione di renderci conto che ci riguarda, riguarda la chiesa che cerca riforma.

Per uscire e annunciare l’avvicinarsi del Regno, dice Gesù nei discorsi di missione, indispensabile è “la casa” (Lc 10,5-8: Mt 10,11-14). Intesa come luogo di legami affidabili, nutrienti. Luogo di preghiera, ai margini.

Così, quando il Concilio nel delineare la chiesa missionaria afferma “… la vita contemplativa interessa la presenza della chiesa nella sua forma più piena” (Ad Gentes, 18), non echeggia forse questo medesimo tratto, non abbozza ministeri inediti?

Chiediamoci dove sia andato a finire oggi questo tratto costitutivo nella novità evangelica legato allo stile di Gesù. Visto che il primo annuncio della risurrezione è da lui affidato, per gli apostoli, a una donna. E la prima comunità cristiana, col collegio degli apostoli ha al centro Maria, la Madre.

La domanda s’impone: come lo stile di Gesù – certo in un contesto culturale, antropologico e sociale radicalmente mutato – connota la missione, in una cultura globale che sembra smarrire i suoi contorni, le radici, le differenze: in particolare come fermenta, con la forza generativa delle relazioni inclusive, e i luoghi e il linguaggio del celebrare, e della chiesa in uscita?

L’inizio della missione evangelizzatrice in Europa dà a pensare.

E a quanti hanno cuore sensibile alla sua visita, lo Spirito dischiude vie e linguaggi per dargli carne.

[1] Qui, fra l’altro, il racconto degli Atti (16,10) inizia ad essere proposto in prima persona plurale, al “noi”, con cui Luca entra in punta di piedi come narratore protagonista (già in At 11,27). Questo cambiamento di punto di vista narrativo, con cui Luca entra in Europa a fianco dell’Apostolo, conferisce una maggiore enfasi al carattere “sinodale” del secondo viaggio missionario –: “mai senza l’altro”.