"Questo passo verso il processo sinodale è profetico!"

Il processo sinodale sta accelerando: concluse le consultazioni nazionali e la fase continentale del Sinodo 2021-2024, la prima delle due sessioni del Sinodo mondiale dei vescovi si terrà a Roma a ottobre 2023.

Per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica romana, al sinodo parteciperanno non solo vescovi, ma anche laici. Helena Jeppesen-Spuhler è una di loro. L’argoviese lavora per Azione Quaresimale come coordinatrice del programma Filippine e parteciperà al Sinodo come delegata laica europea, insieme a Mons. Felix Gmür come rappresentante della Svizzera e a Claire Jonard come moderatrice di un gruppo di lingua francese.

Il Servizio di comunicazione della CVS ha incontrato Helena Jeppesen per un’intervista sul processo sinodale e le sue differenze internazionali, la collaborazione con Mons. Felix Gmür e l’importanza delle prospettive estere.


Servizio di comunicazione: Cara Helena, dopo il processo continentale e la sua conclusione all’assemblea di Praga, è il momento del Sinodo mondiale dei vescovi a Roma. Che cosa hai tratto dalle discussioni di Praga?

Helena Jeppesen: Molte cose. Anche grazie alla buona relazione che la Svizzera ha portato a Praga, dove siamo riusciti a integrare due o tre passaggi quasi parola per parola nel documento europeo. Ad eccezione dell’ordinazione delle donne, quasi tutte le nostre richieste sono state inserite nell’Instrumentum Laboris. Vedremo fino a che punto riusciremo a portare queste richieste a Roma. Ciò che mi preoccupa di più è che nella stessa Svizzera sembra esserci poca energia per il cambiamento, sia nelle diocesi che a livello nazionale.

Cosa può imparare la Svizzera in questo senso in confronto alle altre nazioni?

Chiaramente, a confronto con altre nazioni, siamo relativamente avanti. In Italia, i vescovi si sono proprio opposti al processo sinodale. In Svizzera è stato diverso: quando Papa Francesco ha proclamato il processo sinodale, la CVS lo ha sostenuto.

Ma abbiamo ancora molto da imparare. L’anno scorso ho visitato una diocesi in Colombia. È stato fantastico vedere come lavorano a livello regionale. Si è discusso quasi a livello di regione diocesana del processo sinodale, delle priorità, di ciò che le persone volevano apportare e di ciò che deve cambiare. La sinodalità è arrivata proprio alla base. I Paesi dell’America Latina hanno una tradizione molto più forte della Svizzera, per esempio, di portare la teologia alla base.

Quindi la teologia non è più presente a livello di base in Svizzera? Non c’è più teologia tra i credenti comuni?

Secondo la mia esperienza, molti hanno già rinunciato. Molti sono rimasti delusi. Dicono che non vogliono più impegnarsi, che lo hanno fatto per tanto tempo invano. Per le persone più anziane, questo significa che si sono già impegnate nel Sinodo 72 e quindi non ne hanno più voglia. Ma molti notano anche, di fatto, che questa è la ripresa del Vaticano II; qui stiamo continuando a lavorare sul Vaticano II!

Si sente spesso criticare il fatto che in Europa si discute di preoccupazioni e problemi molto diversi da quelli del resto del mondo. Corrisponde alla tua esperienza a Praga?

Le indagini condotte in tutto il mondo sono state preziose e hanno evidenziato una serie di problemi. Le stesse preoccupazioni esistono in tutto il mondo, nelle Filippine, in Thailandia e in Congo, basta ascoltare attentamente e parlare con persone diverse. In tutto il mondo ci sono molti laici che si impegnano, che vedono opportunità, che fanno domande. Anche in collaborazione con i vescovi che sono a favore della riforma – perché ce ne sono. Non si tratta di laici contro vescovi, ma la linea passa attraverso il Sinodo. Ci sono molti vescovi progressisti e tra i laici ci sono voci molto conservatrici.

Ma a Praga mi sono resa conto ancora una volta di quanto potere abbiano i vescovi rispetto ai laici. In Svizzera, per fortuna, i vescovi ci sono molto vicini e scambiano idee con noi. Ma al sinodo il rapporto è diverso, anche già soltanto per il numero dei partecipanti. Se i vescovi decidono tra di loro, dal loro punto di vista, è unilaterale. Se un vescovo europeo è convinto che i problemi delle donne in Africa siano molto diversi da quelli delle donne in Europa, bisogna chiedersi con chi ne abbia discusso. E spesso risulta chiaro che lo ha appreso dai vescovi africani. Ma se parlasse con le donne africane, queste gli racconterebbero forse qualcosa di completamente diverso.

Con ciò intendo che quando dei non chierici parlano con donne africane, o per esempio dei giovani con altri giovani, al centro ci sono altre preoccupazioni.

Possiamo dire che non sono necessariamente le differenze di opinione ad essere in primo piano, ma piuttosto la mancanza di scambio, la mancanza di altri punti di vista?

Sì, il fatto che siano presenti persone provenienti da diversi settori di attività della Chiesa significa che tutti i partecipanti possono avere uno scambio molto diverso. Questo è anche ciò che hanno detto i vescovi a Praga. Inizialmente volevano redigere una propria relazione dopo il Sinodo di Praga. Ma i vescovi hanno poi convenuto che ciò non aveva senso. Completamente in linea con lo spirito latinoamericano, dove non c’è solo una conferenza episcopale continentale, ma anche assemblee ecclesiali che includono i laici. Queste strutture ecclesiali mondiali richiedono anche una relazione in cui tutte le voci siano prese in considerazione. Credo che questo sia il futuro.

Cosa sappiamo già del programma di ottobre e delle prossime tappe a Roma?

Il Sinodo si svolgerà in due parti e la questione della partecipazione degli stessi delegati alle due parti è ancora aperta. Nessuno lo sa ancora! Il vescovo Felix presume che la composizione sarà la stessa, ma non ne sono sicura.

Neanche il programma del prossimo sinodo è stato fissato ancora. Sapremo in seguito chi potrà partecipare e quando.

Hai detto che le linee non sono affatto come pensavi. Come interpreti il tuo ruolo in questo contesto?

Sono una dei dieci delegati europei non episcopali, e per questo motivo rappresento effettivamente l’Europa continentale. Il vero delegato svizzero è Mons. Felix. E Claire Jonard, una belga che lavora in Svizzera, sarà moderatrice di un gruppo di lingua francese. Penso che sia una cosa molto bella. Naturalmente siamo un piccolo gruppo svizzero che ha come riferimento la Chiesa in Svizzera. Mons. Felix porta la prospettiva nazionale, che è molto importante – in particolare gli approcci sinodali progressisti in Svizzera.

Il fatto che abbiamo, ad esempio, parlamenti della corporazioni ecclesiastica cantonale, che sono già chiamati sinodi, è unico al mondo. Possiamo e dobbiamo portare questi impulsi alla Chiesa universale, portarli a Roma e poi riportare le esperienze della Chiesa universale.

Come funziona il lavoro con Mons. Felix Gmür e Claire Jonard?

Ci eravamo già preparati insieme, ad esempio via zoom, con gli altri partecipanti al Sinodo di Praga. Ma all’epoca Claire Jonard e io non sapevamo ancora che avremmo partecipato al Sinodo. Ora lo scambio a tre inizia davvero. Claire Jonard coordinerà un gruppo di lingua francese, il che è entusiasmante, perché la metterà in contatto con voci africane. Per quanto riguarda me e il vescovo Felix, è ancora da decidere dove saremo assegnati. Ad esempio, non sappiamo ancora se ci saranno gruppi di lavoro di lingua tedesca, ma sicuramente ci saranno gruppi di lingua inglese e francese.

L’aspetto entusiasmante è che al di fuori dei dibattiti ufficiali, le discussioni probabilmente continueranno, proprio come in politica. La sera parleremo di ciò che è successo e di ciò che è stato discusso. Mons. Felix è molto bravo a discutere le differenze di opinione con tutti. Ha anche il vantaggio di essere conosciuto nei Paesi di lingua tedesca come un vescovo riformatore. Questo gli ha fatto guadagnare molto sostegno. È in grado di condurre un dialogo costruttivo con quasi tutti e conosce molte persone alle quali noi laici non abbiamo accesso. Allo stesso tempo, abbiamo contatti che il vescovo Felix non ha.

È così anche per altre delegazioni?

Questo tipo di collaborazione è anche la forza della Chiesa in America Latina. D’altra parte, molte rappresentanze episcopali africane non sono ancora pronte, secondo me. Tuttavia, si possono creare alleanze anche attraverso le divisioni. Il centro, i conservatori moderati, saranno decisivi. Con loro si riesce a parlare. Forse non si smuovono immediatamente dalla loro posizione, ma ascoltano e prendono gli altri sul serio.

Come valuti il potenziale di questo Sinodo per la comunità mondiale?

Se consideriamo che una delle principali crisi sociali di oggi è la de-democratizzazione della società, trovo francamente profetico il passo di Francesco verso il processo sinodale. Sta semplicemente dicendo che la sinodalità è nei geni della Chiesa e che dobbiamo pensare a soluzioni locali. Di fatto, stiamo assistendo a un movimento nella Chiesa cattolica romana contrario alle tendenze politiche, e c’è qualcosa di profetico in questo.

Intervista : Sebastian Schafer, 18 agosto 2023

Foto: Helena Jeppesen (al centro) a Praga, insieme alle professoresse Monique van Dijk e Josianne Gauthier, due delegate dall’Olanda e da Bruxelles.