Pace in Terra - in occasione della Giornata del giudaismo (Dies Iudaicus) 2024

Messaggio della commissione di dialogo ebraici/cattolici della Svizzera della CVS

Con il messaggio di pace degli angeli – “gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14) – Luca inserisce la nascita di Gesù nella tradizione del Principe della pace messianico (Is 9,5). Sì, il mondo è in ordine quando Dio viene glorificato e gli uomini vivono in pace gli uni con gli altri, perché la rettitudine e la giustizia prevalgono tra le nazioni, le spade vengono spezzate e ne vengono fatti aratri, delle lance vengono fatte falci, non si imparerà più l’arte della guerra (Is 2,4) e ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico (Zac 3,10). Questa è la speranza messianica comune a ebrei e cristiani. Dobbiamo mantenerla viva, perché abbiamo bisogno di visioni di pace come anelito contrapposto alla storia reale esistente, soprattutto adesso che il brutale attacco terroristico di Hamas ha scatenato ancora una volta il circolo vizioso della violenza in Palestina.

L’antropologia storica ci insegna che le peggiori forme di violenza contro il prossimo si trovano nella storia dell’umanità fino ai giorni nostri, tanto che il genere umano è l’unica specie che potrebbe autoestinguersi. Ci sono sempre state buone intenzioni, trattati di pace che parlavano di “pace eterna”. Ma non sono durati a lungo. Per citare solo un esempio: nel 1815, i popoli europei giurarono nel patto della Santa alleanza “di considerarsi l’un l’altro solo come membri di una sola e medesima nazione di cristiani”. Cento anni dopo, però, si attaccarono brutalmente durante la prima guerra mondiale e, da ogni lato, i rappresentanti delle rispettive Chiese predicavano sermoni infuocati nello spirito del nazionalismo. La storia sembra davvero una “macchina infernale”, per parafrasare Adorno “dopo Auschwitz” e l'”Olocausto”. È quindi cinico sostenere che la storia manifesti uno sviluppo messianico in meglio.

E questo vale anche per la storia della Chiesa stessa, nella quale il messaggio di pace degli angeli avrebbe dovuto avere una risonanza particolare. Anche se si ritiene che l’affermazione di Goethe “l’intera storia della Chiesa è un’accozzaglia di errori e di violenza” sia una semplificazione grossolana e imprecisa, non si può non essere d’accordo con lo storico della Chiesa e delle religioni Ernst Benz, il quale sostiene che “né l’islam, né il buddismo, né l’induismo hanno ucciso, per amore della loro fede, un numero di persone anche solo lontanamente paragonabile a quello delle Chiese cristiane”. A causa della sua pretesa di esclusività, il cristianesimo non ha saputo resistere alla tentazione dell’intolleranza, all'”instaurazione di un’empia assolutezza interiore che mette in discussione l’altro per il tempo e l’eternità” (Joseph Ratzinger). È per questo che il cristianesimo, iniziato con un “martire”, ha perso da tempo la sua innocenza. E la dolorosa storia dell’antigiudaismo cristiano lo testimonia. Artisti come il messicano José Clemente Orozco hanno espresso in modo molto drastico questa innocenza perduta del cristianesimo: se Cristo tornasse, la prima cosa che farebbe sarebbe distruggere la croce, perché i cristiani hanno lasciato una scia di violenza nella storia sotto questo simbolo. Questo è il messaggio del suo dipinto (olio su tela, 1943) “Cristo distrugge la sua croce”.

La storia della violenza all’ombra del cristianesimo non è ovviamente dovuta solo ad alcune aberrazioni dottrinali (esclusivismo intollerante, crociate, processi per eresia e stregoneria, antigiudaismo), ma è anche radicata nella natura umana, nell’antropologia. Non dimentichiamo che, secondo la narrazione biblica, la storia umana ha una “discendenza cainita” dalla violenza e dal fratricidio. Le religioni maggiori rappresentano un tentativo di “addomesticare” la natura umana, di trasformare l'”homo homini lupus” (l’uomo è un lupo per l’uomo) in “homo homini amicus” (l’uomo è un amico per l’uomo). Tra le fionde della preistoria e le armi di distruzione di massa comandate a distanza dei nostri giorni, c’è indubbiamente un progresso tecnico. Ma c’è anche un progresso morale? Questo è più che opinabile. Kant sospettava quindi che il progresso verso l’idea di umanità “potrebbe fallire proprio a causa della natura dell’uomo… da un legno così storto come quello di cui è fatto l’uomo non si può ricavare nulla di completamente diritto”. Anche per questo motivo il processo di civilizzazione, compreso il contributo delle religioni maggiori, non ha risolto il problema della violenza. Questo significa rassegnazione e disfattismo? Niente affatto.

L’antropologia storica registra anche aspetti positivi e afferma che l’umanità è in un processo di civilizzazione il quale porterà all’addomesticamento o al controllo della violenza arbitraria, vuoi attraverso il monopolio della violenza dello Stato di diritto moderno, vuoi attraverso l’addomesticamento culturale della natura animale dell’uomo. Ma la storia non decorre come una linea ascendente verso l’era della pace messianica. Il suo corso assomiglia piuttosto a una spirale di regressione e progresso. A volte veniamo scaraventati indietro e dobbiamo nuovamente renderci conto del potenziale dei nostri poteri autodistruttivi per prendere la rinnovata decisione di creare un nuovo ordine mondiale pacifico basato sulla giustizia e sul diritto. I progressi compiuti nelle ultime generazioni non possono essere trascurati: è cresciuta la consapevolezza dell’unità della “famiglia umana”, anche grazie all’impatto dell’idea biblica della somiglianza universale di tutti gli uomini con Dio; sono sorti forum internazionali per discutere e risolvere insieme i problemi del mondo; la solidarietà globale si nota rapidamente in caso di catastrofi; i viaggi e i mezzi di comunicazione ci insegnano quotidianamente che i sofferenti più lontani possono diventare il nostro prossimo, al di là dei confini di religione e nazione. Certo, gli attuali eventi bellici o la situazione dei rifugiati ci mostrano che non siamo ancora in grado di gestire i disastri umanitari a livello globale, ma rispetto ai tempi passati si può dire che il mondo è “cresciuto insieme” in un certo senso.

Il giudaismo e il cristianesimo non hanno bisogno di nascondere la loro comune speranza messianica. Ma non devono dimenticare il carattere drammatico della storia, la quale è caratterizzata da una dura battaglia contro “i dominatori di questo mondo tenebroso”, che continuerà fino alla venuta definitiva del Principe della pace. I cristiani devono anche tenere presente che la nascita di Gesù non ha completamente annullato il male, il che significa che la speranza messianica non si è ancora completamente realizzata. Ecco perché in 1 Gv 5,19 si legge: “noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo sta in potere del Maligno”.

Sì, dobbiamo lottare contro il male in modo solidale. In questo modo, possiamo dare il nostro contributo all’avvento finale del regno di Dio, che è un regno di giustizia e di pace, di verità e di libertà “per tutti”. Non siamo soli in questa lotta drammatica. Se lo fossimo, sarebbe già persa, vista la discendenza cainita di cui sopra. Mentre i pessimisti culturali temono che siamo condannati, questa speranza è una componente indispensabile della narrazione messianica: se ci apriamo a Dio, alla sua misericordia e alla sua grazia, il potere del bene può vincere la forza del male, in noi e nel mondo.

In questa consapevolezza, auguriamo agli ebrei, ai cristiani e a tutte le persone di buona volontà nella Giornata del giudaismo 2024 “pace in terra”!

Prof. Mariano Delgado, Università di Friborgo
Membro della commissione di dialogo ebraici/cattolici della Svizzera

Imagine: Jose Clemente Orozco – Cristo distrugge la sua croce