Giornata del Giudaismo del 25 febbraio 2018

(Seconda domenica di Quaresima)

Settant’anni orsono, nel maggio 1948, lo Stato d’Israele è stato fondato sulla base d’una precedente risoluzione delle Nazioni Unite. Oggi rappresenta una parte costitutiva del Giudaismo. In occasione di questo anniversario e della necessità d’uno sguardo il più oggettivo possibile sulla storia, vi proponiamo un testo di Simon Erlanger. Nel testo-guida trovate gli impulsi teologici ed i supporti per preparare l’omelia e allestire la liturgia.

La fondazione dello Stato dʼIsraele risale a 70 anni fa

Nel maggio 2018 ricorre il 70° anniversario della fondazione dello Stato dʼIsraele. Alcuni mesi fa, il 29 novembre 2017, ricorreva per l’esattezza il settantesimo anniversario della decisione presa dalle Nazioni unite a New York, con 33 voti favorevoli, 13 contrari e 10 astensioni, a favore d’una suddivisione del Mandato territoriale britannico, in vigore dal 1920, in uno Stato ebraico ed uno Stato arabo. Lo Jischuw, la corporazione politica degli Ebrei di Palestina che praticamente si autogestiva, e l’Organizzazione sionista mondiale approvarono il piano di spartizione. La Lega araba e gli Arabi di Palestina lo ricusarono, così che il dominio britannico terminò a tutti gli effetti il 14 maggio 1948. Fu così decretato lo Stato d’Israele, senza che nascesse un corrispettivo Stato arabo-palestinese.

La notte seguente gli eserciti di Siria, Egitto, Giordania, Libano e Iraq sferrarono un attacco contro il neonato Stato dʼIsraele, sul cui territorio imperversava già dallʼautunno 1947 una guerriglia tra truppe arabe irregolari e lo Jischuw. La parte occidentale di Gerusalemme, ebraica, ed il quartiere ebraico nel nucleo storico furuno asserragliati da combattenti arabi e parzialmente recisi dal mondo esterno. Dopo un esordio difficile, Israele fu però in grado di mantenere e consolidare il suo territorio nazionale e malgrado le innumerevoli vittime, uscì vittorioso dal conflitto. Pressapoco 650’000 arabi palestinesi fuggirono dai territori del nuovo Stato o furono espulsi durante il conflitto. Nel contempo e fino al 1964, anche in seguito a questa guerra, quasi un milione di ebrei nordafricani ed orientali fu costretto all’esilio. Nella primavera del 1949 Israele e gli Stati arabi firmarono un cessate il fuoco. Le linee occupate dai rispettivi eserciti a conclusione dei combattimenti diventarono de facto quelle frontiere che si mantennero fino alla guerra dei 6 giorni (1967). Negli anni successivi al 1949, la popolazione ebraica d’Israele triplicò da 800’000 a ca. 2 milioni di abitanti. Oggigiorno vivono in Israele (ad esclusione dei Territori autonomi palestinesi) ca. 8,8 mio di abitanti, di cui 74,6 % ebrei, 20,9 % prevalentemente arabi e drusi musulmani sunniti e 4,5 % cosiddetti “altri”. Con un apporto di 170’000 abitanti, le confessioni cristiane costituiscono una minoranza che tuttavia è in crescita, una delle poche comunità cristiane ad esserlo in Vicino Oriente.

Le cause

La fondazione dello Stato dʼIsraele va compresa a partire dalla storia europea e dagli eventi sopravvenuti in Vicino Oriente agli albori del 20° secolo. La visione sionista di creare un’entità comunitaria in Palestina, “terra dei padri”, fu corrispettiva al venir meno dell’emancipazione ebraica. In Francia, Germania ed Austria si fece largo una nuova inimicizia verso gli Ebrei, contraddistinta da un antisemitismo xenofobo e da argomenti pseudoscientifici. Nell’Europa orientale le misure antiebraiche ed i pogrom provocarono un impoverimento massiccio delle masse ebraiche e l’emigrazione di ben 2,5 milioni di Ebrei verso gli Stati Uniti, che chiusero loro l’accesso a partire dal 1924. In tale situazione, il sionismo cercò di ridefinire l’autoconsapevolezza ebraica e costruire una nuova patria come territorio di ripiego per le popolazioni ebraiche in fuga.

“Padre del sionismo politico” fu il giornalista ed autore viennese Theodor Herzl, fondatore e presidente dellʼOrganizzazione sionista mondiale (OSM), che vide la luce nel 1897 a Basilea. A seguito dell’affare Dreyfus in Francia (un ufficiale ebraico ingiustamente accusato di spionaggio a favore della Germania), la République fu scossa da un’ondata di antisemitismo vivendo una grave crisi. Impressionato da questi fatti, Herzl nel saggio “Lo Stato ebraico” (Der Judenstaat) ideò la sovranità ebraica ed il ritorno nel vecchio-nuovo Paese e nel 1897 proclamò il primo congresso sionista a Basilea. I ca. 200 delegati vi approvarono il “programma di Basilea”, che prevedeva la creazione d’uno Stato ebraico in Palestina. “A Basilea ho fondato lo Stato ebraico”, disse Herzl. Si prefiggeva la “creazione dʼun rifugio nazionale in Palestina, ove poter vivere”. In un primo tempo la sua visione parve illusoria. Fu la Prima Guerra mondiale che permise di varcare il Rubicone, allorquando il ministro degli esteri britannico Arthur James Balfour, in una lettera rivolta ad inizio novembre 1917 al presidente della Federazione sionista inglese, assicurò il sostegno del suo governo alla “creazione d’un focolare nazionale in Palestina per il popolo ebraico”. La dichiarazione di Balfour fu adottata dalla Società delle Nazioni di recente costituzione, alla conferenza di Sanremo nel 1920, acquistando in tal modo uno statuto di diritto internazionale. Prese avvio il mandato della Lega delle Nazioni per la Palestina/Eretz Israele (tale il nome ufficiale), poi trasmesso alla forza d’occupazione britannica. Nel 1922 gli inglesi scalzarono la Giordania dal mandato.

Nel frattempo i sionisti di ogni colore si incontravano quasi annualmente. Il 22° Congresso sionista, che si svolse a Basilea dal 9 al 22 dicembre 1946, fu l’ultimo prima della fondazione d’Israele ed il più foriero di conseguenze. Se a partire dalla dichiarazione di Balfour del 1917 il movimento sionista si accontentava d’un cosiddetto “focolare” entro i confini dell’impero britannico, dal 1919 con l’accordo della dinastia araba hashemita, nel 1946 rivendicò uno Stato pienamente sovrano. Era appena finita la Shoah (Olocausto), con lo sterminio di due terzi degli Ebrei d’Europa; oltre 250’000 sopravvissuti vivevano come DPs (“Displaced Persons”) in cosiddetti DP-Camps in Germania meridionale ed in Austria. I più si videro precluso il ritorno nei rispettivi Paesi a causa dell’antisemitismo che perdurava. Dopo il 1945, nella sola Polonia caddero vittime dei pogrom tra 1’500 e 2’000 Ebrei. Decine di migliaia fuggirono in Occidente. Nessuno sapeva cosa fare dei profughi. Soltanto contingenti relativamente esigui furono accolti da Stati Uniti, Australia e Canada. L’emigrazione verso la Palestina si profilò come esito naturale di questa situazione di fatto.

Raccolta dei sopravvissuti

L’epicentro demografico, culturale, religioso e politico della vita ebraica si trovò violentemente spostato a causa della Shoah, passando dall’Europa al futuro Israele e dagli Stati Uniti. E’ tuttora così.

Dallʼottobre 1945 una “Commissione dʼinchiesta anglo-americana”, diretta dal giurista Earl G. Harrison su mandato del presidente statunitense Harry Truman, si occupò della situazione degli Ebrei sopravvissuti in Europa. Harrison concluse che non si prospettava per loro altra soluzione che lasciare l’Europa in direzione della Palestina, chiedendo quindi, nel maggio 1946, il rilascio di 100’000 permessi d’immigrazione. Una richiesta in questo senso fu fatta da Truman al primo ministro britannico Clement Attlee, ma fu respinta da questi seduta stante perché l’impero britannico, indebolito dalla guerra, non volle inimicarsi gli stati arabi, strategicamente importanti. L’immigrazione ebraica verso la Palestina, dove sin dal 1946 viveva una comunità ebraica forte di 600’000 persone, rimase perciò, in ampia misura, illegale. I Britannici cercarono di captare i bastimenti carichi di profughi ebrei, rispedendoli verso l’Europa o internandoli a Cipro, suscitando indignazione in tutto il mondo.

Su questo sfondo i dibattiti e le decisioni del congresso basilese furono decisivi. Le questioni che si posero furono se rinunciare o no ad una comunità ebraica sovrana a causa delle tensioni in auge entro e attorno alla Palestina; se dopo la Shoah il progetto d’un focolare ebraico non rivestiva di nuovo una certa urgenza; se era possibile ricostituire le comunità europee alla luce dell’antisemitismo incessante. Il congresso di Basilea gettò le basi per gli sviluppi dei decenni successivi e preparò la fondazione dello Stato d’Israele sopravvenuta appena un anno e mezzo più tardi. Fu fondamentale in questo senso l’adozione delle esigenze espresse dalla conferenza di Biltmore del 1942 a New York, dove lo sterminio degli Ebrei in Europa portò a richiedere l’immediata erezione d’uno Stato ebraico.

Nessuna ripresa in Europa

A causa dell’Olocausto, il congresso sionista basilese del 1946 ruppe con la ponderata e paziente diplomazia in auge nei cinque decenni precedenti, asserendo l’urgenza d’uno Stato ebraico, articolandone e perseguendone sistematicamente l’obiettivo verso una piena sovranità. A soli undici mesi dal congresso di Basilea le Nazioni Unite stipularono, il 29 novembre 1947, la spartizione della Palestina in uno Stato ebraico ed in uno Stato arabo. Il 15 maggio 1948 vide la proclamazione dello Stato d’Israele. La maggior parte delle “Displaced Persons” si avviarono nel nuovo Stato.

Vaticano e Stato dʼIsraele

Il pieno riconoscimento da parte della Santa Sede dello Stato dʼIsraele nel quadro del diritto internazionale giunse soltanto 45 anni dopo la fondazione, il 30 dicembre 1993 , con l’Accordo fondamentale tra Vaticano e Stato d’Israele, seguito nel 1994 dallo scambio di ambasciatori. Tale accordo permise di sanzionare le posizioni legali e rafforzare le relazioni cattoliche ed ebraiche/israeliane.

Dott. Simon Erlanger, storico e giornalista, professore incaricato e ricercatore presso lʼIstituto di ricerche giudeo-cristiane dellʼUniversità di Lucerna e membro della Commissione di dialogo Ebrei/Cattolici

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