Omelia di mons. Vescovo Valerio Lazzeri per la Domenica delle Palme

Lugano, Chiesa di Cristo Risorto, 5 aprile 2020

Fratelli e sorelle, amati dal Signore fino alla morte e alla morte di croce!

La narrazione della Passione di Gesù non ci permette di stare fermi in un posto. Si svolge come un itinerario che obbliga il lettore a un continuo spostamento: dal Getsemani al palazzo del sommo sacerdote, dal cortile dello stesso all’abitazione di Pilato e, infine, dal pretorio al Calvario, attraverso il sofferto percorso che vi conduce. La meditazione a cui siamo invitati non porta ad accomodarsi in un angolino calmo e poco disturbato. Ci fa uscire continuamente da dove siamo appena arrivati.

Ed è così, di fatto, più che mai quest’anno! Arriviamo alla Pasqua del Signore affannati e ansiosi. Non abbiamo percorso un lineare e progressivo sentiero di avvicinamento alla festa. Piuttosto, la sensazione è quella di esservi giunti strattonati dall’incalzare degli eventi, presi da una preoccupazione crescente, confrontati con uno spettacolo di malattia e di morte, ormai diffuso, sia pure in gradazioni diverse, un po’ su tutta la faccia della terra.

C’è, però, una domanda intrigante che risuona all’inizio di questa lunga pagina evangelica, un interrogativo che ci interpella. Esso, in fondo, rimette in gioco ogni anno lo spazio in cui gli avvenimenti storici raccontati si ripropongono, con tutto il loro inesauribile potenziale di redenzione, di guarigione e di salvezza: “Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?” (Mt 26,17).

Certo, noi sappiamo che quei fatti precisi relativi a Gesù di Nazaret sono proprio capitati lì e in quel tempo preciso. Eppure, è sempre indeciso e ancora da determinare l’ambito preciso in cui la celebrazione permetterà di dispiegarne la fecondità.

I discepoli sono mandati in città da un tale. Perché questa figura rimane indeterminata? Perché può essere ciascuno di noi! A chiunque, anche oggi, viene portato il proposito pressante del Maestro: “Il mio tempo è vicino, farò la Pasqua da te con i miei discepoli” (Mt 26,18). L’orizzonte di quei fatti singolari rimane così aperto. È la libertà e l’intimità di ciascuno di noi a essere chiamata in causa per dare loro ospitalità.

Carissimi amici, non abbiamo potuto benedire gli ulivi quest’anno, né imitare con una gioiosa processione ciò che è accaduto a Gerusalemme, quando Gesù vi è entrato, accolto dalla folla festante e dai canti dei bambini. Non possiamo neppure, in questo momento, essere radunati nello stesso luogo per celebrare l’Eucaristia. E, tuttavia, rimane intatta, integra e ugualmente efficace, l’intenzione del Signore: “Farò la Pasqua da te con i miei discepoli” (Mt 26,18). “Farò della tua casa la casa della Chiesa, della santa convocazione, il luogo della fraternità, della comunione più forte della morte”.

Nessuno ritenga di avere un’abitazione troppo piccola e poco significativa per esaudire la richiesta di Gesù. Nessuno si agiti e si confonda, pensando che tutti i locali a sua disposizione sono in questo momento troppo ingombri di ansie, di paure e di sgomento. Per “mangiare la Pasqua”, Gesù non si aspetta che noi riusciamo a offrirGli solenni apparati. Gli basta un piccolo, ma sincero gesto di attenzione al Suo dolore, alla Sua tristezza e angoscia, di fronte all’abisso del rifiuto che il cuore umano è in grado di opporre all’Amore che lo ha creato.

“Farò la Pasqua da te”! La nostra Pasqua, forzatamente domestica, non sarà meno vera! Ne è convinto il Signore Gesù più di noi, che inevitabilmente esitiamo, considerando l’estrema vulnerabilità e precarietà in cui siamo posti. A Gesù, però, Dio ha dato “il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: ‘Gesù Cristo è il Signore’, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,9-10).

Solo Lui sa “indirizzare una parola allo sfiduciato” (Is 50,4). Sa raggiungere intimamente ogni gemito, ogni lutto e ogni lamento. Solo Lui giunge ai luoghi più remoti, angusti e abbandonati, per portarvi, l’unica consolazione che può guarire radicalmente i nostri cuori smarriti.

Occorre riconoscerlo! Non eravamo abituati a dover rinunciare così a lungo alla nostra libertà di movimento. Mai avremmo immaginato una simile desertificazione forzata nell’espressione dei nostri affetti, una tale generalizzata paura per la nostra salute e per quella dei nostri cari.

Eppure, la lingua imparata da Gesù nella sua Passione, nel Suo essere trascinato da un posto all’altro dalla violenza e dall’ottusità degli esseri umani, non ha perso la sua eloquenza divina. Essa è frutto del Suo ascolto assiduo e filiale del Padre e ha gli accenti giusti per fare attenti anche i nostri orecchi, normalmente così distratti e superficiali.

Non opponiamo resistenza, non tiriamoci indietro. È proprio attraverso queste circostanze di oggi che faremo Pasqua e con il Signore Gesù passeremo attraverso la strettoia di un’ora particolarmente difficile per tutti.

Con Lui, ciascuno di noi può dire: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso” (Is 50,7).

Non è indispensabile sapere in anticipo i dettagli sul dove la Pasqua del Signore potrà realizzarsi. Non c’è tempo, né spazio, né situazione dolorosa, in cui potremo sentirci condannati, confinati e prigionieri, almeno finché avremo il coraggio di pregare, di gridare, di supplicare che finisca questo disastro e la Sua misericordia faccia in modo che non siamo mai separati da Lui.

Lugano, 5 aprile 2020

Mgr. Valerio Lazzeri

05.04.20 Omelia Mgr Valerio Lazzeri